L'INCANTATRICE DI SYLAIRE

                   (The Enchantress of Sylaire, luglio 1941)

 

«Ma guardate che sempliciotto! Non potrò mai sposarvi», dichiarò la signora Dorothèe, l'unica figlia del Signor di Fleches, con le labbra che si sporgevano imbronciate verso Anselme, simili a due bacche mature. La sua voce era dolce come il miele, ma un miele pieno del pungiglione di un'ape. «Non siete poi tanto male e avete dei modi gentili. Ma mi piacerebbe avere uno specchio, perché poteste accorgervi dell'aria scema che avete.»

«Perché?», domandò Anselme, ferito e imbarazzato.

«Perché voi siete proprio uno stolto sognatore, chino sui libri come un monaco. Non vi interessate a nulla, ma avete un debole per i vecchi romanzi e le leggende. La gente dice che avete anche scritto versi. È una fortuna che almeno siate il secondo figlio del Conte di Framboisier, perché non sarete mai niente di meglio.»

«Eppure ieri mi amavate un pochino», disse Anselme amaramente.

Una donna non trova nulla di buono in un uomo che ha cessato di amare.

«Stupido! Asino!», gridò Dorothèe scuotendo i suoi biondi riccioli con petulante arroganza. «Se non foste veramente come vi ho definito, non mi avreste mai ricordato la faccenda di ieri. Andate, idiota e... non tornate più.»

Anselme, l'eremita, aveva dormito poco, agitandosi continuamente sul pagliericcio duro e stretto. Pareva che il sangue gli ribollisse a causa dell'afa della calda notte estiva.

Inoltre, anche l'ardore istintivo della giovinezza, aveva contribuito alla sua inquietudine. Non aveva desiderato pensare alle donne, ad alcuna donna in particolare. Ma, dopo tredici mesi di solitudine, trascorsi nel cuore della selvaggia foresta di Averoigne, era ancora lontano dal dimenticarla. Ancora più crudele delle sue punzecchiature, era il ricordo del fascino di Dorothèe del Fleches: la sua bocca carnosa, le braccia tornite e la vita sottile, e il seno e i fianchi che non avevano ancora raggiunto la loro pienezza.

I pochi, brevi intervalli di torpore, erano stati popolati da sogni che avevano condotto attorno al suo giaciglio altre visioni, belle ma sconosciute.

Si alzò al tramonto, stanco ma agitato. Forse avrebbe trovato refrigerio facendo un bagno, come aveva fatto spesso, in uno stagno alimentato dal fiume Isoile e nascosto fra boschetti di ontani e salici.

L'acqua deliziosamente fresca a quell'ora, avrebbe attenuato il suo orgasmo.

Gli occhi gli bruciavano e dolevano al riverbero del sole dorato del mattino, quando sbucò fuori dalla baracca di bianchi vimini intrecciati. I suoi pensieri turbinavano, ancora pieni del tormento della notte. Dopotutto, era stato saggio lasciare il mondo, abbandonare gli amici e la famiglia, ed isolarsi a causa della cattiveria di una ragazza? Non poteva essersi ingannato nel credere che era diventato eremita seguendo una qualche aspirazione verso la santità, simile a quella che aveva sorretto i vecchi anacoreti?

                                                                 114

Vivendo così a lungo in solitudine, non aveva semplicemente aggravato la malattia che aveva cercato di curare?

Forse - gli veniva in mente un po' in ritardo - si stava dimostrando quel vano sognatore, quell'inutile sciocco che Dorothèe lo aveva accusato d'essere. Era stata debolezza l'essersi lasciato irritare da una delusione.

Camminando con gli occhi bassi, senza accorgersene, giunse ai boschetti che cingevano lo stagno. Si fece strada fra i giovani salici senza alzare lo sguardo, e stava per liberarsi degli abiti quando, in quell'istante, un suono vicinissimo di spruzzi d'acqua, lo riportò alla realtà.

Con un certo sgomento, Anselme si rese conto che lo stagno era già occupato. A sua ulteriore costernazione, si avvide che l'occupante era una donna. In piedi, vicino al centro, dove lo stagno era più profondo, agitava l'acqua con le mani, fino a sollevarla e a farla increspare contro il suo petto. La sua pelle, pallida e umida, risplendeva simile ai petali di una bianca rosa immersa nella rugiada.

Lo sgomento di Anselme divenne curiosità e poi, riluttante delizia. Si disse che doveva fuggire, ma temeva di spaventare la bagnante con qualche movimento improvviso. China, con il suo immacolato profilo e la bella spalla sinistra rivolta verso di lui, la ragazza non si era accorta della sua presenza.

Una donna, giovane e bella, era l'ultima cosa che avrebbe desiderato vedere. Tuttavia non riusciva a distogliere lo sguardo. Quella donna gli era sconosciuta, e sentì che non era una ragazza del villaggio o dei dintorni. Era incantevole come qualche castellana dei grandi castelli di Averoigne e, per di più, di sicuro, nessuna signora o signorina avrebbe osato fare il bagno, da sola, in uno stagno nella foresta.

I folti e ricci capelli castani, legati con un lucente nastro d'argento, cadevano sulle sue spalle e, rosseggianti come fiamme, si indoravano dove i raggi del sole li raggiungevano attraverso il fogliame. Appesa al collo, una catena d'oro lucente sembrava riflettere lo splendore della sua chioma, oscillando fra i suoi seni quando giocava con l'acqua.

L'eremita stava ritto, osservando la ragazza come un uomo preso nella ragnatela di qualche improvviso sortilegio. L'ardore giovanile saliva in lui, in risposta agli stimoli della bellezza della donna.

Sembrando stancarsi di quel gioco, la ragazza gli volse la schiena e cominciò a dirigersi verso la riva opposta dove, come Anselme notò, un mucchio di indumenti femminili era deposto, in affascinante disordine, sull'erba. Passo a passo sorse dall'acqua poco profonda, rivelando fianchi e cosce simili a quelle di un'antica Venere.

In quel momento, sopra di lei, vide che un lupo enorme, apparendo furtivamente come un'ombra dal boschetto, si era fermato accanto al mucchio dei vestiti. Anselme non aveva mai visto un lupo simile, prima d'allora. Ma ricordava i racconti di lupi mannari, che si credeva infestassero quell'antica foresta e, immediatamente, il suo allarme si associò alla paura che solo le cose soprannaturali possono provocare.

                                                                   115

La fiera era stranamente colorata, e aveva la pelliccia di un lucente nero bluastro. Era molto più grande dei comuni lupi grigi della foresta. Accovacciata in agguato, seminascosta tra i larici, sembrava attendere la donna che avanzava verso la riva.

Un momento ancora, pensò Anselme, e avrebbe percepito il pericolo, avrebbe urlato, e sarebbe stata colta dal terrore. Ma avanzò tranquilla, la testa china in avanti, come in serena meditazione.

«Attenta al lupo!», gridò, con voce stranamente forte che parve rompere un magico silenzio. Come le parole gli uscirono dalla bocca, il lupo trottò via e scomparve dietro i boschetti, verso la grande, vecchia foresta di querce e di faggi. La donna sorrise ad Anselme, volgendo un piccolo viso ovale dagli occhi leggermente obliqui e dalle labbra come fiori di melograno. Apparentemente non era né spaventata dal lupo, né imbarazzata dalla presenza di Anselme.

«Non vi è nulla di cui aver paura,» disse, con una voce simile al fluire di caldo miele. «Un lupo o due, difficilmente mi assaliranno.»

«Ma forse ve ne sono altri in agguato qui attorno,» insistette Anselme. «E vi sono pericoli maggiori dei lupi, per uno che vaga da solo e senza scorta per la foresta di Averoigne. Quando vi sarete vestita, col vostro permesso vi accompagnerò sana e salva, a casa, vicina o lontana che sia.»

«La mia casa si trova abbastanza vicino in un senso, e abbastanza lontana in un altro,» rispose sibillinamente la donna. «Ma potete accompagnarmi se lo desiderate.»

Si volse verso il mucchio dei vestiti, e Anselme si allontanò di pochi passi fra gli ontani e si affaccendò a tagliare un robusto bastone per armarsi contro le belve della foresta o altri avversari. Uno strano ma delizioso turbamento si impossessò di luì e, parecchie volte, quasi si tagliò le dita con il coltello. La misoginia che lo aveva guidato a fare l'eremita nella foresta, cominciò ad apparirgli un po' immatura, anche se giovanile. Si era lasciato ferire troppo profondamente e troppo a lungo dall'ingiustizia di una bambina impertinente.

Mentre Anselme finiva di tagliare il bastone, la signora terminò la sua toeletta. Si accinse ad andargli incontro, dondolando come una lamia. Un corpetto di velluto verde, che le lasciava scoperta la parte superiore del seno, aderiva strettamente a lei, come l'abbraccio di un amante. Una gonna di velluto color porpora, con fiori azzurro pallido e cremisi, modellava il pro-filo sinuoso dei suoi fianchi e delle sue gambe. I piccoli piedi erano racchiusi in delicati, morbidi stivali di cuoio tinti di scarlatto, con le punte insolentemente rivolte all'insù.

La foggia dei suoi abiti, sebbene stranamente antiquata, confermava ad Anselme che quella doveva essere una persona di rango fuori dal comune.

I vestiti rivelavano, piuttosto che nasconderli, gli attributi della sua femminilità. Gli atteggiamenti lo confermavano ma, nello stesso tempo, parevano volessero provarne il contrario.

Anselme le si inchinò davanti, con una grazia raffinata, che faceva dimenticare il suo rozzo aspetto contadino.

                                                                   116

«Ah! Vedo che non siete stato sempre un eremita,» disse la ragazza, con un tono di dolce derisione nella voce.

«Voi mi conoscete, allora,» disse Anselme.

«So molte cose. Io sono Sephora, l'Incantatrice. È poco probabile che abbiate sentito parlare di me, perché vivo in disparte, in un luogo che nessuno può trovare, a meno che non lo permetta io.»

«So poco di incantesimi,» ammise Anselme. «Ma posso credere che siate un'Incantatrice.»

Per alcuni minuti avevano seguito un sentiero poco usato, che attraversava serpeggiando l'antica foresta. Era un sentiero che Anselme, in tutti i suoi vagabondaggi, non aveva mai raggiunto.

Alberelli flessuosi e bassi rami di giganteschi faggi si estendevano su di esso, coprendolo.

Anselme tenendoli da parte per la sua compagna, spesso, con emozione, toccava le spalle e le braccia della ragazza, la quale si appoggiava contro di lui, come se su quel terreno ineguale perdesse l'equilibrio. Era un peso delizioso il suo, un peso troppo presto abbandonato. Il suo sangue pulsava tumultuosamente e non lo avrebbe calmato un'altra volta.

Anselme aveva dimenticato completamente i suoi propositi di romitaggio. Il sangue e la curiosità si eccitavano sempre di più. Si azzardò a rivolgere alcune proposte ardite, alle quali Sephora diede delle risposte provocatorie. Alle sue domande, tuttavia, rispondeva con un'ambiguità elusiva. Non riuscì a venire a sapere, né a concludere nulla su di lei. Anche la sua età era un enigma: in un primo momento la riteneva una ragazzina, un momento dopo, una donna matura.

Parecchie volte, mentre procedevano, intravide il luccichio di una nera pelliccia attraverso il basso, ombroso fogliame. Era sicuro che lo strano lupo nero, che aveva visto allo stagno, li seguisse sorvegliandoli furtivamente. Ma, chissà come, il senso di allarme era offuscato dall'incantesimo che si era impadronito di lui.

Ora il sentiero si restringeva, salendo per una collina fittamente boscosa.

Gli alberi diradavano, e dei pini nani circondavano una brughiera aperta, così come la tonsura circonda il cranio dei monaci.

La brughiera era disseminata di monoliti druidici, la cui età risaliva a prima dell'occupazione romana dell'Averoigne. Quasi al centro si innalzava un imponente dolmen, consistente in due lastroni verticali sui quali si appoggiava un terzo, simile all'architrave di una porta. Il sentiero correva diritto al dolmen.

«Questo è il portale del mio regno,» disse Sephora, come vi si avvicinarono. «Mi sento venir meno dalla fatica. Dovrete prendermi sulle braccia e portarmi attraverso l'antica soglia.»

Anselme obbedì molto volentieri. La donna aveva le guance pallide, e le palpebre le tremarono e si abbassarono quando la sollevò.

 

                                                                   117

Per un momento pensò che fosse svenuta; ma le braccia erano calde quando gli si attaccò al collo.

Stordito dalla improvvisa veemenza della sua emozione, la trasportò attraverso al dolmen. Quando l'ebbe fatto, le labbra si posarono sulle palpebre della ragazza e, in preda al delirio, passarono sul dolce rosso fiamma delle labbra e sul rosa pallido della gola. Ancora una volta, sotto l'ardore di Anselme, la ragazza parve venir meno.

Le membra gli cedettero e gli occhi gli si offuscarono. La terra sembrò cedere sotto di loro, simile ad un morbido giaciglio, quando si lasciarono cadere a terra.

Alzando il capo, Anselme si guardò attorno con sempre maggior stupore. Aveva trasportato Sephora solo per pochi passi e l'erba su cui stavano non era l'erba della brughiera, rada e seccata dal sole, ma profonda, verdeggiante e punteggiata da minuscoli fiori! Querce e faggi, ancora più grandi di quelli della foresta familiare, si delineavano ombrosamente da ogni parte con ammassi di foglie nuove e verde oro, là dove aveva pensato di vedere le alture scoperte.

Guardando indietro, vide che i lastroni dello stesso dolmen, grigi e coperti di licheni, rimanevano solitari in quell'antico paesaggio.

Anche il sole aveva cambiato posizione. Era in alto alla sinistra di Anselme, ancora abbastanza basso ad est, quando lui e Sephora avevano raggiunto la brughiera. Ma ora, brillando con raggi color ambra attraverso uno squarcio nella foresta, aveva quasi raggiunto l'orizzonte alla sua destra.

Ricordò che Sephora gli aveva detto che era un'Incantatrice. Infatti, doveva essere un'esperta di sortilegi. La sbirciò con sospetta e curiosità perplessità.

«Non allarmatevi», disse Sephora, con un dolce, rassicurante sorriso negli occhi. «Vi avevo detto che il dolmen era la soglia del mio regno. Ora ci troviamo in una terra che si trova al di fuori del tempo e dello spazio, come li avete conosciuti fino ad ora. Le stagioni medesime, qui sono differenti.

Ma qui non si nasconde alcun sortilegio, eccetto quello degli antichi, grandi Druidi, che conoscevano i segreti di questo regno nascosto, e innalzarono questi imponenti lastroni per farne un portale tra i mondi. Se vi stancherete di me, potrete ripassare in qualsiasi momento attraverso la soglia. Ma spero che ciò non succederà tanto presto.»

Anselme, sebbene ancora disorientato, fu sollevato da quelle informazioni. Si dispose a dimostrare che la speranza espressa da Sephora era ben riposta. Infatti, lo dimostrò così a lungo e così dettagliatamente, che il sole era tramontato all'orizzonte, prima che Sephora potesse riprendere pienamente il fiato e parlare nuovamente.

«L'aria sta rinfrescando,» disse, stringendosi a lui e tremando leggermente.

«Ma la mia casa è vicina.»

Al crepuscolo giunsero ad un'alta torre rotonda situata fra gli alberi e le collinette coperte d'erba.

 

                                                                   118

«Molto tempo fa,» annunciò Sephora, «qui vi era un grande castello.

Ora ne resta solo la torre, ed io ne sono la castellana, l'ultima della famiglia. La torre e le terre attorno sono chiamate Sylaire.»

Alte, sottili candele illuminavano l'interno, adornato da ricchi arazzi vagamente e bizzarramente dipinti. Anziani domestici dall'aspetto cadaverico, vestiti con antichi costumi, andavano e venivano furtivamente come spettri, posando i cibi davanti all'Incantatrice ed al suo ospite, in una vasta sala. I vini avevano un aroma straordinario ed erano molto vecchi, le vivande curiosamente condite.

Anselme mangiò e bevve abbondantemente. Tutto era come un sogno fantastico, e ne accettò tutte le circostanze, come fa un sognatore, per nulla disturbato dalle loro stranezze.

I vini potenti gli annebbiarono i sensi. Più forte ancora, era l'ebbrezza della vicinanza di Sephora.

Tuttavia, Anselme si spaventò alquanto, quando l'enorme lupo nero che aveva visto quel mattino, entrò nella sala e, simile a un cane, si mise a fare le feste, ai piedi della sua ospite.

«Vedete, è completamente addomesticato,» disse, gettando dei pezzi di carne al lupo. Spesso lo lascio andare a venire nella torre; e a volte mi accompagna quando esco da Sylaire.»

«È una belva dall'aspetto feroce,» osservò dubbiosamente Anselme.

Pareva che il lupo avesse compreso quelle parole, perché mostrò i denti ad Anselme, ringhiando rocamente e profondamente, in modo soprannaturale. Chiazze di vivida fiamma brillavano nei suoi tetri occhi, simili a carboni bruciati dai diavoli in tenebrose profondità.

«Va via, Malachia,» ordinò bruscamente l'Incantatrice. Il lupo obbedì e, sgattaiolando dalla sala, rivolse uno sguardo maligno all'indietro, verso Anselme.

«Non gli piacete,» disse Sephora. «Tuttavia, forse, questa non è una sorpresa.»

Anselme, stordito dal vino e dall'amore, dimenticò di indagare sul significato di quelle ultime parole.

Il mattino venne troppo presto, con i raggi del sole che incendiavano la cima degli alberi, attorno alla torre.

«Dovete lasciarmi per un po',» disse Sephora, dopo che ebbero consumata la prima colazione. «Ho trascurato le mie magie negli ultimi tempi e, vi sono questioni sulle quali debbo indagare.»

Chinandosi graziosamente, gli baciò le palme delle mani. Poi, volgendo sguardi all'indietro e sorridendo, si ritirò in una camera sulla sommità della torre, situata sopra la camera da letto. Qui, aveva detto ad Anselme, erano custoditi gli oggetti, le pozioni e gli accessori necessari alla magia.

Durante l'assenza di Sephora, Anselme decise di uscire e di esplorare la foresta attorno alla torre. Con la mente rivolta al nero lupo, della cui docilità, nonostante le assicurazioni di Sephora,  non  si  fidava, prese con sé il bastone

                                                                   119

che aveva tagliato il giorno precedente nei boschetti, vicino a Isoile.

Ovunque vi erano dei sentieri, e tutti conducevano verso luoghi deliziosamente freschi. Sylaire era Veramente una regione incantevole. Attratto dalla luce dorata e dalla brezza satura della freschezza dei fiori primaverili, Anselme vagava di radura in radura.

Giunse ad un anfratto erboso, dove una piccola fonte sgorgava da rocce ricoperte di muschio, e si sedette su una roccia, meditando sulla strana felicità che, all'improvviso, era entrata nella sua vita. Era simile ad uno di quei vecchi romanzi e ai racconti di incantesimi e di fantasia, che gli piaceva tanto leggere. Sorridendo, ricordò il sarcasmo col quale Dorothèe des Flèches aveva disapprovato la sua predilezione per tale genere di letture. Cosa avrebbe pensato ora Dorothèe, si domandò. In ogni caso, difficilmente se ne sarebbe preoccupata.

Le sue riflessioni vennero interrotte. Vi fu uno stormire di foglie ed il nero lupo emerse dalla boscaglia di fronte a lui, lamentandosi come volesse attrarre la sua attenzione. In certo qual modo, la bestia aveva perso il suo aspetto feroce.

Curioso ed un po' spaventato, Anselme osservò con stupore il lupo cominciare a sradicare con le zampe certe piante che somigliavano parecchio all'aglio selvatico, che poi mangiò con evidente avidità.

Anselme rimase a bocca aperta, nel vedere ciò che ne seguì. Un momento prima il lupo gli era davanti poi, nello stesso punto, sorse la figura di un uomo, magro, forte, con capelli e barba blu scuri, e fiammeggianti occhi neri. I capelli gli arrivavano quasi alle sopracciglia, e la barba pressappoco alla parte inferiore delle ciglia.

Le braccia, le gambe, le spalle e il torace erano ricoperti di un ruvido pelo.

«Tranquillizzatevi, non ho intenzione di farvi del male,» disse l'uomo.

«Io sono Malachia du Marais, un Mago e, una volta, amante di Sephora. Stancatasi di me e temendo le mie stregonerie, mi trasformò in un lupo mannaro, facendomi bere di nascosto le acque di una certa sorgente che si trova negli incantati dominii di Sylaire.

Sin dai tempi antichi, la sorgente è infettata dai licantropi e Sephora, al potere della sorgente, ha aggiunto le sue magie. Posso lasciare per un po' le sembianze del lupo, quando la luna è oscurata. Altre volte posso riacquistare sembianze umane, sebbene solo per pochi minuti, mangiando le radici che mi avete visto scavare e divorare; ma le radici sono molto scarse.»

Anselme capì che gli incantesimi si Sylaire erano molto più complicati di quanto aveva immaginato fino a quel momento. Ma, nel suo smarrimento, era incapace di credere al soprannaturale che gli era di fronte. Aveva ascoltato molti racconti di lupi mannari che, nella Francia Medioevale, erano ritenuti comuni. Si diceva che la loro ferocia fosse quella del demonio piuttosto che quella delle semplici bestie.

«Permettetemi di mettervi in guardia dal grave pericolo nel quale vi trovate,» continuò Malachia du Marais.

                                                                   120

«Siete stato imprudente a lasciarvi adescare da Sephora. Se siete saggio, lascerete i confini di Sylaire il più rapidamente possibile. La zona è piena di diavolerie e stregonerie, e tutti coloro che vi abitano sono vecchi come la zona e sono ugualmente maledetti. I domestici di Sephora, che vi hanno servito ieri sera, sono vampiri che di giorno dormono nei sotterranei della torre ed escono solamente la notte. Escono attraverso il portale dei Druidi, per opprimere il popolo di Averoigne.»

Si fermò, come a ribadire le parole che seguirono. Gli occhi gli brillavano minacciosamente, e la sua voce profonda si trasformò in un sussurro sibilante.

«La stessa Sephora è un'antica lamia, quasi immortale, che si pasce della forza vitale di uomini giovani. Ha avuto molti amanti durante la sua vita, dei quali deploro la fine, anche se non la posso precisare. La giovinezza e la beltà che conserva, sono illusioni. Se poteste vedere Sephora qual è realmente, indietreggereste per la repulsione, guarito del vostro pericoloso amore. La vedreste incredibilmente vecchia e repellente.»

«Ma come può essere una cosa simile?», domandò Anselme.

«Veramente, non riesco a credervi.»

Malachia scrollò le spalle pelose.

«Perlomeno vi ho messo in guardia. Ma si avvicina la trasformazione in lupo, e debbo andarmene. Se volete venire da me più tardi, nella mia abitazione che si trova ad un miglio ad ovest della torre di Sephora, forse riuscirò a convincervi che le mie affermazioni sono la verità. Nel frattempo, chiedetevi se avete visto qualche specchio simile a quelli che una donna giovane e bella è solita usare, nella camera di Sephora. Vampiri e lamie hanno paura degli specchi, e per una buona ragione.»

Anselme tornò indietro verso la torre, con la mente turbata, ciò che gli aveva detto Malachia era incredibile. Per di più, vi era la questione dei domestici di Sephora. Aveva a malapena notato la loro assenza quella mattina, e non li aveva ancora visti, dalla sera precedente. E non riusciva a ricordare alcuno specchio, fra i diversi oggetti femminili di Sephora.

La trovò che lo aspettava nella sala più bassa della torre. Uno sguardo alla soavità della sua femminilità, e si vergognò dei dubbi inspiratigli da Malachia.

Gli occhi grigio-blu di Sephora lo interrogarono, profondi e teneri come quelli di una dea pagana dell'amore. Senza trascurare alcun particolare, le disse del suo incontro col lupo mannaro.

«Ah! Ho fatto bene a fidarmi delle mie intuizioni,» disse. «La notte scorsa, quando il lupo ringhiava e vi guardava minacciosamente, mi venne in mente che forse stava diventando più pericoloso di quanto mi rendessi conto. Questa mattina, nella camera della magia, ho fatto uso dei miei poteri chiaroveggenti, e sono venuta a sapere molte cose. Infatti, sono stata sbadata. Malachia è divenuto una minaccia per la mia sicurezza. Inoltre vi odia e vuole distruggere la nostra felicità.»

 

                                                                   121

«Allora è vero,» domandò Anselme, «che è stato il vostro amante e, che lo avete trasformato in lupo mannaro?»

«È stato mio amante, molto, molto tempo fa. Ma la forma di lupo mannaro è stata una sua scelta personale, assunta a causa della sua curiosità, dato che ha bevuto alla sorgente di cui vi ha parlato. In seguito se n'è pentito, perché l'aspetto del lupo, mentre gli dà una certa forza, in realtà ne limita le azioni e il potere magico. Desidera tornare alle sembianze umane e, se ciò accade, diventerà doppiamente pericoloso per entrambi.

«Avrei dovuto osservarlo meglio, perché ora mi accorgo che mi ha sottratto la ricetta dell'antidoto del lupo mannaro. La mia chiaroveggenza mi dice che ha già fabbricato l'antidoto, nei suoi brevi intervalli di umanità, ottenuti masticando una certa radice.

Quando berrà la pozione, come penso abbia intenzione di fare fra poco, riotterrà per sempre le sembianze umane. Aspetta solo che la luna sia oscurata, quando l'incantesimo del lupo mannaro è più debole.»

«Ma perché Malachia mi dovrebbe odiare?», domandò Anselme. «E come posso aiutarvi contro di lui?»

«La prima domanda è un po' ingenua, mio caro. Naturalmente, è geloso di voi. Per quanto riguarda l'aiuto, bene: ho pensato ad un bello scherzo da giocare a Malachia.»

Dalle pieghe del corpetto, estrasse una piccola fiala di vetro color porpora, di forma triangolare.

«Questa fiala,» gli disse, «è piena dell'acqua della sorgente del lupo mannaro. Per mezzo di una visione chiaroveggente, sono venuta a sapere che Malachia conserva la pozione fabbricata da poco, in una fiala della stessa dimensione, forma e colore. Se riuscite ad entrare nella sua tana e a sostituire una fiala con l'altra, senza farvi scoprire, credo che il risultato sarà molto divertente.»

«Ci andrò di sicuro,» assicurò Anselme.

«Il momento potrebbe essere favorevole,» disse Sephora. «Manca un'ora a mezzanotte; e spesso Malachia a quest'ora è a caccia. Se lo troverete nella tana o se dovesse tornare mentre vi trovate lì, potete dirgli che siete venuto in risposta al suo invito.»

Diede ad Anselme precise istruzioni che lo avrebbero messo in grado, senza fatica, di trovare la tana del lupo mannaro.

Anzi, gli diede una spada dicendogli che la lama era stata temprata al suono di magici canti che la rendevano efficace contro esseri simili a Malachia.

«L'umore del lupo è diventato incerto,» ammonì. «Se dovesse assalirvi, il vostro bastone di ontano si dimostrerebbe una ben misera arma.»

Era facile localizzare la tana, perché dei sentieri molto battuti vi si dirigevano, con piccole deviazioni. Il luogo era costituito dai resti di una torre, rovinata nel terreno erboso e fra i massi ricoperti di muschio. L'ingresso era stato, un tempo, una soglia maestosa: ora era solo un buco, simile a quello che un grosso animale avrebbe potuto fare, entrando e uscendo dalla tana.

 

                                                                 122

Anselme esitò davanti al buco.

«Siete lì, Malachia du Marais?», gridò.

Dall'interno non una risposta, un suono, un movimento. Anselme gridò ancora una volta. Alla fine, chinandosi sulle mani e sulle ginocchia, entrò nella tana.

La luce si riversava attraverso parecchie aperture, munite di grate fatte con radici di alberi, dove il terrapieno si era infossato. Il luogo, piuttosto che una stanza, era una caverna. Puzzava per via dei resti di carogne, della cui natura Anselme non poté accertarsi bene. Il pavimento era cosparso di rifiuti, di ossa, di radici spezzate, di foglie d'albero, e di recipienti da alchimisti, frantumati o arrugginiti. Una teiera corrosa dal verderame pende-va da un tripode, sulle ceneri e sui resti di fascine bruciacchiate. La sporcizia inzuppata di pioggia ristagnava sulle lastre di metallo intaccate dalla ruggine. I resti di un tavolo a tre gambe erano appoggiati contro la parete. Era coperto da un miscuglio di oggetti scompagnati, fra i quali Anselme scorse una fiala color porpora, simile a quella datagli da Sephora.

In un angolo vi era una lettiera d'erba. Il forte e disgustoso odore di bestia selvatica, si mescolava al fetore di carogne.

Anselme si guardò attorno e ascoltò prudentemente. Poi, senza indugio, sostituì la fiala di Sephora con quella sul tavolo di Malachia.

Quindi si sistemò la fiala sottratta sotto il giustacuore.

Vi fu un rumore di passi all'ingresso della caverna. Anselme si girò per trovarsi di fronte il nero lupo. La bestia veniva verso di lui, rigidamente accovacciata come se stesse per compiere un balzo, con gli occhi splendenti, simili al carbone rosso vivo dell'Averno. Le dita di Anselme si strinsero attorno all'impugnatura della spada incantata, datagli da Sephora.

Gli occhi del lupo seguirono le sue dita. Pareva che avesse riconosciuto la spada. Distolse l'attenzione da Anselme e cominciò a masticare alcune radici della pianta simile all'aglio che, certamente, aveva raccolto per rendere possibile quelle operazioni che, difficilmente, avrebbe potuto continuare sotto le sembianze di lupo.

Questa volta, la trasformazione non fu completa. La testa, le braccia e il corpo di Malachia du Marais presero forma di fronte ad Anselme; ma le gambe erano le zampe posteriori di un lupo mostruoso. Era simile ad un incrocio animalesco di antiche leggende.

«La vostra visita mi onora,» disse un po' stizzito, col sospetto negli occhi e nella voce. «Pochi si sono preoccupati di entrare nella mia povera abitazione, ed io ve ne sono grato. In segno di gratitudine per la vostra cortesia, vi farò un regalo.»

Con i movimenti silenziosi di un lupo, si diresse verso il tavolo e cercò, a tastoni, fra la confusione di cianfrusaglie che lo ricopriva.

Tirò fuori uno specchio d'argento di forma oblunga, lucidissimo, con l'impugnatura ricoperta di gemme, simile a quello che poteva possedere una gran dama o una damigella.

                                                                   123

«Vi do lo specchio di Verità,» annunciò.

«In esso tutte le cose vengono riflesse, in conformità alla loro vera natura. Le illusioni della magia non lo possono ingannare. Non mi avete creduto quando vi ho messo in guardia contro Sephora. Ma, se ponete lo specchio di fronte al suo viso e ne osservate l'immagine riflessa, vedrete che la sua bellezza, come qualsiasi altra cosa a Sylaire, è ingannevole: è la maschera di antichi orrori e della corruzione. Se dubitate di me, ponete ora lo specchio di fronte alla mia faccia: perché anch'io, purtroppo, faccio parte degli antichi demoni della terra.

Anselme prese lo specchio ed obbedì all'ingiunzione di Malachia. Un attimo, e le sue deboli dita quasi lasciarono cadere lo specchio.

Aveva vista riflessa una faccia che il sepolcro doveva aver tenuta  nascosta per molto tempo.

L'orrore di quella vista lo aveva scosso così profondamente che, in seguito, non fu in grado di ricordare le circostanze della partenza dalla tana del lupo mannaro. Aveva preso il dono; ma più di una volta era stato spinto dall'impulso di gettarlo via. Cercò di dirsi che tutto quello che aveva visto, era semplicemente il risultato di qualche trucco magico. Si rifiutò di credere che uno specchio qualunque, potesse rivelare Sephora come altro che una giovane e amabile innamorata, i cui baci erano ancora caldi sulle sue labbra.

Tuttavia, tutte queste cose furono scacciate dalla mente di Anselme, dalla situazione che trovò quando rientrò nella sala della torre. Tre visitatori erano arrivati durante la sua assenza. Erano in piedi, di fronte a Sephora, che, con un sorriso tranquillo sulle labbra, apparentemente stava cercando di spiegar loro qualcosa. Anselme riconobbe con molta meraviglia e con costernazione i visitatori.

Uno di essi era Dorothée des Flèches, vestita con un abito da viaggio.

Gli altri erano due servitori del padre, armati di archi, faretre con frecce, sciabole e pugnali. Nonostante questo spiegamento di armi, non parevano affatto a loro agio. Ma Dorothée sembrava aver conservato la sua sbrigativa sicumera.

«Cosa state facendo in questo strano posto, Anselme?», gridò. «E chi è questa donna, questa castellana di Sylaire, come si fa chiamare?»

Anselme sentì che difficilmente la donna avrebbe compreso qualsiasi genere di risposta fosse riuscito a dare ad entrambe le domande.

Volse lo sguardo verso Sephora, poi verso Dorothée. Sephora era l'essenza di tutto il fascino e delle romanticherie che aveva sempre ardentemente desiderato. Come aveva potuto sentirsi innamorato di Dorothée, come aveva potuto passare tredici mesi in eremitaggio a causa della sua freddezza e mutevolezza? Era abbastanza graziosa, con il normale fascino della giovinezza. Ma era stupida, priva di immaginazione, e già tediosa nell'impeto della giovinezza, come una donna di mezza età. C'era poco da meravigliarsi che non lo avesse capito.

 

                                                                   124

«Cosa vi conduce qui?», ribatté. «Non pensavo di rivedervi ancora.»

«Vi avevo dimenticato. Anselme,» sospirò lei. «La gente diceva che avevate lasciato il mondo, perché innamorato di me e che eravate diventato eremita. Alla fine sono venuta a cercarvi. Ma eravate sparito. Alcuni cacciatori vi hanno visto passare ieri, con una donna sconosciuta, attraverso la brughiera di pietre dei Druidi. Dissero che eravate entrambi svaniti al di là del dolmen, come se vi foste dissolti nell'aria. Oggi vi ho seguito con i servitori di mio padre. Ci siamo trovati in questa regione sconosciuta, della quale nessuno ha mai sentito parlare. Ed ora questa donna...»

La frase fu interrotta da un furioso ululato nel quale echeggiava una bramosia al di là del tempo. Il nero lupo, con la schiuma e la bava alla bocca, irruppe dalla porta che era stata aperta per lasciar entrare gli ospiti di Sephora. Dorothée des Flèches cominciò ad urlare, quando si scagliò diritto verso di lei, con l'aria di sceglierla come prima vittima della sua furia rabbiosa.

Era chiaro che qualcosa lo aveva fatto impazzire. Forse l'acqua della sorgente del lupo mannaro, scambiata per l'antidoto, aveva raddoppiato l'originaria maledizione della licantropia.

I due servitori, irrigiditi con tutto il loro arsenale di armi, erano rimasti immobili come statue. Anselme estrasse la spada datagli dall'Incantatrice, e balzò in avanti ponendosi fra Dorothée e il lupo.

Alzò l'arma, una lama diritta e fatta apposta per pugnalare. Il lupo mannaro, impazzito, balzò come scagliato da una catapulta e, le sue rosse fauci spalancate, furono trafitte dalla punta della spada. La mano di Anselme urtò contro l'impugnatura dell'arma ed il colpo lo spinse all'indietro. Il lupo si abbatté, dibattendosi, ai piedi di Anselme. Le mascelle si erano serrate sulla lama. La punta fuoruscì dalle dure setole del suo collo.

Anselme cercò inutilmente di estrarre la spada. Poi il nero corpo cessò di dibattersi e la lama uscì facilmente. Era stata estratta dalla bocca dell'antico Mago ormai morto. Malachia du Marais giaceva davanti ad Anselme, sulle lastre di pietra del pavimento. La faccia del Mago, ora era quella che Anselme aveva visto nello specchio, quando lo aveva sollevato dietro suo ordine.

«Mi avete salvata! Che meraviglia!», gridò Dorothée dirigendosi verso Anselme a braccia aperte. Ancora un momento, e la situazione sarebbe diventata imbarazzante.

Ricordò lo specchio che aveva nascosto sotto il giustacuore, assieme alla fiala che aveva sottratto a Malachia. Cosa avrebbe visto

Dorothée, si domandò, nella luminosa profondità dello specchio?

Estrasse rapidamente lo specchio e lo girò verso il suo viso, mentre avanzava verso di lui. Quello che lei scorse nello specchio, non lo seppe mai, ma l'effetto fu impressionante. Dorothée soffocò un'esclamazione, con gli occhi dilatati da un evidente terrore. Poi, coprendosi gli occhi con le mani, come per non vedere qualche visione macabra, corse via dalla sala strillando. I servitori la

seguirono. La rapidità dei loro movimenti, confermò che non erano spiacenti di lasciare quella tana di Streghe e di Maghi.

                                                                   125

Sephora cominciò a ridere dolcemente, Anselme a ridacchiare. Per un po' si abbandonarono ad una chiassosa allegria. Poi Sephora si calmò.

«So perché Malachie vi ha dato lo specchio,» disse. «Non volete vedermi riflessa?»

Anselme si accorse che aveva ancora lo specchio fra le mani. Senza rispondere, si diresse alla finestra più vicina che guardava su una profonda buca, circondata da cespugli, che era stata parte di un antico fossato parzialmente ricoperto, e vi gettò lo specchio.

«Mi accontento di quello che dicono i miei occhi, senza l'aiuto di specchi di sorta,» dichiarò. «Ed ora, occupiamoci di altre cose che, da troppo tempo, abbiamo tralasciato.»

Il delizioso corpo di Sephora era di nuovo fra le sue braccia e la sua bocca, dolce come un frutto, era serrata sotto le sue labbra avide.

La forza di tutte le magie li aveva stretti nel suo cerchio dorato.

 

FINE

(Trad. Teobaldo del Tanaro)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                    126